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Recensione di Bonelli, M. (a cura di), Filosofe Maestre Imperatrici. Per un nuovo canone della storia della filosofia antica (2020)

BONELLI, M.. (a cura di). (. 2020. ).Filosofe Maestre Imperatrici. Per un nuovo canone della storia della filosofia antica. .Roma: ,Edizioni di Storia e letteratura, .

La natura di Medea, su cui grava un doppio handicap - non solo donna, ma anche barbara - è sempre stata considerata antropologicamente indomabile. Con Fedra, Deianira, Clitemnestra ella appartiene alla natura maligna che si sviluppa sotto un sole nero, notturno e infero: rappresenta la figura teatrale della regressione, la via verso lo stato selvaggio.

Come ricorda Elisabetta Cattanei, per Aristotele, ella non può essere educata dal logos perché il pathos è sordo al logos e Medea è - per così dire - tutta pathos, e pathos impuro: così nei testi mitologici, così nei testi filosofici, i quali, del resto, non sono molto distanti da quelli, se pensiamo che Aristotele, nella Politica, per mostrare come il thumos sia elemento dominatore, trae esempi proprio dalla poesia.

Che le donne abitino la zona cupa dell’essere è idea diffusa nell’antichità, come dimostrano la storia di Pandora e, per differentiam, l’esempio di donna virtuosa che troviamo in Senofonte: la moglie del kalokagathos Iscomaco è una donna che ha ‘il modo di ragionare di un uomo’.

A fronte di queste idee sulle donne diffuse nei testi antichi, lo scopo di questo libro (Bonelli, 2020BONELLI, M. (a cura di). (2020). Filosofe Maestre Imperatrici. Per un nuovo canone della storia della filosofia antica. Roma, Edizioni di Storia e letteratura.) - come precisano la curatrice Maddalena Bonelli, che è anche autrice del primo contributo (Un tentativo di valorizzazione e di inclusione. Delle donne filosofe nell’antichità, pp. XIII-XXI), e Silvia Gastaldi, che scrive la prefazione del volume (pp. IX-XI) - è quello, specifico, di far emergere le figure delle pensatrici antiche nella storia della filosofia, continuando l’opera meritoria compiuta, tra l’altro, da Gilles Ménage, che nel XVII secolo ha scritto l’Historia mulierum philosopharum e da Mary Ellen Waithe, che nel XX secolo ha scritto A History of Women Philosophers.

La prima parte del libro si intitola “I filosofi e le donne” e include il saggio di Richard Davies (Donne guardiane? Un ragionamento dirottato, pp. 3-15), interamente dedicato a mostrare come Platone, nella Repubblica, pur avendo ammesso che le donne potrebbero governare, di fatto non considera mai esplicitamente questo punto, relegando al piano puramente teorico l’inclusione delle donne nella sfera del potere.

La parità tra uomo e donna resta solo teorica anche in Aristotele, il quale, se da un punto di vista antropologico considera le donne “esseri umani”, da un punto di vista pratico non può fare a meno di osservare la loro incapacità di bouleusis e di proairesis.

Come evidenziano, nei loro saggi, Elisabetta Cattanei (La vergogna delle donne. Dissonanze e consonanze femminili in Aristotele, pp. 17-32) e Arianna Fermani (Di maschi menomati, deviazioni naturali e altre storie. Aristotele e la questione femminile, pp. 33-51), per Aristotele, le donne non posseggono capacità di deliberazione autonoma. In Aristotele, insomma, la differenza di genere si trasforma in diversità. Arianna Fermani, citando Caporossi (L’invidia di Aristotele, ovvero della virtù (femminile), Ancona, Affinità Elettive, 2016, p. 64) spiega che si tratta di cose molto diverse: «Infatti ‘differenza’ e ‘diversitaà’, che sembrano termini sinonimi e che nel linguaggio comune sono usate come nozioni sostanzialmente equivalenti, in realtà significano cose molto diverse. In effetti la differenza non solo non ha niente a che vedere con la diversità, ma rappresenta proprio il suo ‘peggior nemico’: «la differenza, dal greco dia-phora, porta attraverso sé e in sé quel qualcosa che qualifica, specifica e distingue rendendo evidente la peculiarità e la ricchezza dell’essere... mentre la diversità, dal lat. divertere, indica qual de-viare, cambiare strada, di-vergere, appunto dividere, implicando un giudizio di valore storicamente determinato, gerarchizzato ideologicamente che, nella catalogazione, valuta, coprendo e chiudendo l’essere in un unico criterio possibile, indiscusso e, in più, presunto oggettivo/neutro» (p.37I).

La seconda parte del volume è dedicata alle “Donne filosofe”.

In questa seconda parte, il primo contributo, ricco di indicazioni metodologiche relative all’indagine storico-critica sul ruolo delle donne, e in particolare delle pitagoriche, nella storia della filosofia, è quello di Caterina Pellò: Non solo uomini, ma anche donne. La presenza femminile nella filosofia greca: il caso delle Pitagoriche (pp. 55-78). La studiosa si concentra sulle presenze femminili nelle comunità pitagoriche di V secolo a.C. e mostra come quello delle pitagoriche sia il primo caso di donne coinvolte nella storia della filosofia. In che ruolo esse abbiano preso parte alla vita della comunità è questione controversa. Le fonti mostrano che le donne non furono solo educate in quanto cittadine, ma furono anche ammesse nell’esclusivo circolo filosofico di Pitagora. Quali insegnamenti ricevessero e soprattutto se potessero diventare esse stesse autorità intellettuali - o filosofe - è difficile a dirsi, perché le uniche testimonianze disponibili sono tarde e poco attendibili. Ciò che tuttavia le fonti suggeriscono è che le donne fossero principalmente educate in virtù del loro ruolo di madri e mogli. Rimangono nondimeno - sottolinea la studiosa - alcune illustri eccezioni, «come il caso di Timica, pitagorica esemplare nel rispettare il voto del silenzio, e Teano, la più celebre donna pitagorica in virtù non solo del suo ruolo di moglie, ma anche delle sue abilità intellettuali». (76).

Il secondo contributo è quello di Manuela Migliorati (Le donne della scuola pitagorica: l’analisi dell’anima in uno scritto di Esara di Lucania, pp. 79-104), che presenta il caso di un frammento di un trattato filosofico Sulla natura umana, che propone un’analisi della struttura tripartita che governa allo stesso modo l’anima, la casa e la città. Come sottolinea anche Silvia Gastaldi nella prefazione (p. X), non sfugge l’affinità di questo testo con la concezione platonica dell’anima nella Repubblica. «Sarebbe proprio la natura umana» - scrive Manuela Migliorati - «a fornire il criterio per conoscere, tramite introspezione, la legge e la giustizia della casa e della città, strutturate alla stessa maniera dell’anima, su scala maggiore: ordine ed armonia sono le condizioni ideali per l’anima, la casa e la città perfette, realizzabili con una distribuzione proporzionata delle loro tre parti costitutive, unita alla forza della virtù e ad una buona educazione. Il principio regolatore di tutto questo sistema è razionale e divino, in perfetta assonanza con l’organizzazione cosmica pitagorica» (103).

Sfortunatamente non siamo sicuri che il nostro frammento sia sicuramente di una donna, infatti esiste una lettura delle fonti che parla del filosofo pitagorico lucano “Aresa”.

Il terzo contributo è quello di Sara Belotti (Diotima di Mantinea, pp. 105-129). In esso l’autrice, dopo avere brevemente riassunto le pagine del Simposio in cui compare Diotima, che viene presentata dal personaggio Socrate come sua maestra, considera alcuni studi sulla sacerdotessa di Mantinea, e conclude parlando di Diotima come di «una figura enigmatica e sfuggente, poiché non ci sono elementi sufficienti né per escludere l’esistenza di una Diotima di Mantinea nel V secolo a.C. né per affermarla con assoluta certezza» (129).

Il contributo di Stefania Salomoni (Pompeia Plotina, l’imperatrice filosofa, pp. 131-161), presenta la figura di Pompeia Plotina, moglie dell’imperatore Traiano e madre adottiva dell’imperatore Adriano, di cui un’antica iscrizione attesta la passione per la filosofia epicurea. L’imperatrice parla di Epicuro come del «salvatore» e dell’epicureismo come di una scuola di cui essa stessa si sente parte.

L’ultimo contributo è quello di Gemma Beretta (Ipazia. Problemi di ricostruzione e di interpretazione, pp. 163-179), che racconta il suo interesse per la straordinaria filosofa e scienziata di Alessandria a partire dalla sua tesi di laurea fino a oggi. Vengono indicati i materiali su cui lavorare per comprendere il pensiero della filosofa: innanzitutto le fonti storiche su Ipazia: i contemporanei (Teone, Sinesio, Pallada, Socrate Scolastico, Filostorgio, Esichio) e poi via via coloro che scrissero su di lei a partire dal secolo successivo (Damascio, Giovanni Malalas, Cassiodoro e così via). Vengono indicati i tratti di originalità del pensiero che rese Ipazia più grande non soltanto di suo padre, il matematico Teone, ma, come ebbe a scrivere Socrate Scolastico, «di tutti i filosofi suoi contemporanei» (173). Si interpretano i passi di Damascio e di Sinesio che ne delineano l’atteggiamento, e si conclude con un riferimento alla morte violenta della filosofa.

«Questa morte» - scrive Cinzia Beretta - «come nel caso di Socrate, non è un casuale incidente, ma è la conseguenza morale di una scelta di vita coerente e di un’impostazione filosofica che mette al centro la pratica della virtù politica. È in coerenza a questa scelta di vita che Ipazia subisce l’attacco politico finale che la vede sconfitta e ‘cancellata’ nell’immediato ma vincente e luminosa nel tempo che le succede. Ipazia è la testimone di un modello culturale, oggi più che mai valido e attuale, al quale donne e uomini di ogni tempo possono - e a mio parere devono - attingere» (p. 179).

Concludono il volume una bibliografia che comprende molti studi sulle donne e sulle filosofe nell’antichità, un indice delle fonti, un indice dei nomi.

Bibliografia

  • BONELLI, M. (a cura di). (2020). Filosofe Maestre Imperatrici. Per un nuovo canone della storia della filosofia antica Roma, Edizioni di Storia e letteratura.

Publication Dates

  • Publication in this collection
    14 Nov 2022
  • Date of issue
    2022

History

  • Received
    26 Jan 2022
  • Accepted
    31 Jan 2022
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